XVIII secolo
cm 110 x 98 Con cornice, cm 118 x 108
Ambito di Alessandro Magnasco (Genova 1667-1749)
Scena di accampamento
Olio su tela, cm 110 x 98
Con cornice, cm 118 x 108
L’inedito dipinto raffigura uno scenografico interno monumentale dove masnade di soldati, vagabondi, accattoni e cantastorie sono cristallizzati in una moltitudine di attività tipiche di un accampamento. Nell’opera, in base alle caratteristiche stilistiche e formali, si può chiaramente individuare la mano di un pittore vicino a Alessandro Magnasco. Magnasco, detto il Lissandrino, considerato uno dei pittori più originali del Settecento italiano. Trasferitosi da Genova a Milano nel 1682, è allievo di Filippo Abbiati ed entra in contatto con la coeva pittura veneta fatta di colore e di luce. Dal 1703 al 1710 Magnasco è a Firenze, al servizio di Ferdinando de’ Medici, alla cui corte s’imbatte in una serie di pittori e incisori che tra il ‘600 e il ‘700 si erano dedicati allo sviluppo del genere cosiddetto della pittura “caricata e giocosa” come Stefano della Bella, Jacques Callot, Salvator Rosa: paesaggi con scene animate da piccole figure di frati, zingari, boscaioli e saltimbanchi inserite in grandi scenari. In questo periodo si inserisce la realizzazione dell’opera in oggetto. Nel 1711, tornato a Milano, è chiamato ad eseguire la decorazione per l’ingresso trionfale dell’Imperatore Carlo VI. Rientra a Genova sessantenne, nel 1735, dove esegue il Trattenimento in un giardino di Albaro, conservato nella Galleria di Palazzo Bianco, ritratto della decadente aristocrazia genovese.
L’opera vede assommati un realistico approccio descrittivo con una pittura veloce ed espressionista: un binomio insolito, di cui però sappiamo essere capace Alessandro Magnasco. Egli dipinge iconografie in gran parte antiaccademiche e dissacranti, destinate ad una committenza intellettuale, anch’esse sicuramente influenzate dalla letteratura picaresca spagnola del XVII secolo e dalla contemporanea produzione italiana di testi popolari come il diffusissimo Vagabondo di Raffaele Frianoro (1640). Sul versante figurativo notevoli influssi di Callot si colgono nella presente opera del Maestro, che aveva sicuramente potuto prendere visione delle opere dell’artista francese conservate nelle collezioni medicee.
Tra gli interni più simili nel catalogo del Lissandrino si osservino, soprattutto per gli aspetti compositivi, la tela raffigurante il Ritrovo di zingari conservata nella Galleria degli Uffizi di Firenze o quella raffigurante il Ritrovo di soldati conservata al Museo di Stoccarada: ritornano alcuni elementi che definiscono la grafia inconfondibile propria del Magnasco: la bambina che balla al centro della composizione, la madre che sorregge il bambino nudo in secondo piano a sinistra, i masnadieri parzialmente nascosti da una coperta con i loro inconfondibili cappelli in primo piano a sinistra o la bambina che tende la mano verso una gabbia di uccelli nella parete di fondo. Ritornano altresì i medesimi elementi architettonici e suppellettili: dai tamburi appesi alle pareti alle stoviglie rotte, come si osserva anche nella tela conservata alla Galleria Bellini di Firenze, La lanterna magica, dove ritroviamo anche bambini in simili atteggiamenti. Ulteriori elementi che ritornano nelle opere composte negli stessi anni sono le pentole di rame e gli stemmi di pietra scolpiti sulla muratura, come si osservano anche nel dipinto raffigurante i Cantastorie conservato al Museo di Varsavia. Precursore della pittura romantica, Magnasco viene accostato spesso a spiriti visionari suoi contemporanei, come Monsù Bernardo ed El Greco. Il dipinto, insieme a pochi altri del periodo, testimonia un momento cruciale della formazione del Magnasco. Autore di una pittura molto particolare, basata su forti contrasti chiaroscurali, con tocchi risoluti e spediti e figure di piccole dimensioni, ma movimentate e vibranti, conferma in quest’opera quell’originalità di soggetti che lo resero artista famoso e ricercato già ai suoi tempi.
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