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Epoca

XVII secolo

Misure

cm 86 x 74 Cornice cm 95,5 x 107

Descrizione

Attribuito a Giovanni Andrea de Ferrari (Genova, 1598 – 1669)

Il venditore di galline e funghi – Allegoria della temperanza

Olio su tela, cm 86 x 74

Cornice cm 95,5 x 107

 

L’opera in esame è da riferirsi a un pittore genovese del XVII secolo che ben conosceva le opere di Bernardo Strozzi (1624-1687). Da un’analisi stilistica dell’opera in esame è evidente un’assonanza con le opere del genovese Giovanni Andrea de Ferrari (1598 – 1669), la cui bravura fu tale che, ricorda il Soprani “tutti furono avidi di recargli da operare… ebbe commissioni di gran tavole, e di smisurata grandezza e furono in tanta copia che io stesso stupisco dirlo” (Soprani, 1674, p. 256).

La sua formazione di G. A. de Ferrari iniziò presso la bottega di Bernardo Castello (pittor ligure del tardo Manierismo, 1557-1629), ma, fondamentale per lo sviluppo e la vocazione alla pittura dell’artista, furono gli insegnamenti di Bernardo Strozzi (1581-1644): la matrice manieristica viene così arricchita dall’apporto di un colore ricco e corposo che si concretizza in materia sulla tela. Le prime opere risentono dell’influsso del maestro anche nella scelta dei tipi iconografici e nel modo di trattare l’incarnato dei volti, tanto da creare spesso incertezza sull’attribuzione all’allievo o al maestro.

Il colore di de Ferrari, tuttavia, diventa sempre più trasparente rispetto a quello di Strozzi, che ne esalta la luce: risente fortemente delle opere di Anton Van Dyck, presente a Genova, soprattutto per lo studio dei volti sapientemente colti dal vero. L’ambiente culturale in cui l’artista genovese operò era uno dei più aperti: non è escluso che abbia avuto contatti diretti anche col caravaggismo a Roma (nel 1634 risulta iscritto all’Accademia di S. Luca) a Savona e a Genova, dove avevano lasciato opere Orazio Borgianni e Orazio Gentileschi. Non vanno trascurati, infine, gli influssi della pittura veneta, specialmente i dipinti del Bassano, e la presenza di artisti stranieri a Genova nella prima metà del Seicento, come Rubens e Velásquez, dal quale apprese una morbidezza di impasti di tipo spagnolo.

G. A. de Ferrari fece proprie le varie esperienze artistiche, giungendo ad annunciare l’affermarsi di una “pittura naturalistica ligure”. Nel 1619, infatti, staccatosi da Strozzi, operava in una propria bottega, dove si formarono molti artisti come il Grechetto, Valerio Castello, Bernardo Carbone, Giovan Battista Merano e Giovan Battista Croce. Nelle tele di questo periodo e dei suoi allievi, si rivelano l’interesse per la natura morta e per gli oggetti della vita quotidiana, espressi con grande spontaneità.

Il Belloni (1973) negli inventari delle quadrerie private, conta trentaquattro quadri del maestro genovese in dieci raccolte. Prevalgono i soggetti biblici nei quali l’artista esprime una vena più schietta e sincera, priva di retorica, attraverso poche figure e spazi limitati, dove i personaggi emergono per effetto di luci ed ombre. Anche molti particolari descrittivi scompaiono e vengono ridotti ad alcuni brani di natura morta. Ne sono esempi le due versioni dello Scherno di Cam (Palazzo Bianco a Genova e Pinacoteca di Parma), l’Ebrezza di Noè (Accademia Ligustica e Pinacoteca di Parma), i Fratelli di Giuseppe mostrano la tunica insanguinata a Giacobbe (Galleria nazionale d’arte antica di Roma), l’Abramo visitato dagli angeli (del Museo di Saint Louis nel Missouri), Giuseppe rifiuta i doni dei fratelli (galleria Acquavella di New York), Esaù e Giacobbe (Galleria di Palazzo Bianco a Genova)

Il dipinto qui presentato potrebbe essere parto di una serie allegorica rappresentante le stagioni o le virtù. Più precisamente potrebbe essere correlato con l’Allegoria della Giustizia (Palazzo Bianco di Genova). Se da un lato, infatti, la presenza delle uova e delle galline è legata al detto Meglio un uovo oggi che una gallina domani, i funghi sono direttamente legati alla Scelta, alla difficoltà di riconoscere se tali frutti della terra siano buoni o dannosi.

Nell’esecuzione dell’opera sono evidenti le esperienze maturate dal Van Dyck e le influenze del caravaggismo che si uniscono al luminismo lombardo: il colore si esalta componendosi in pastosi contrasti di luci ed ombre e in lumeggiature, attraverso guizzi di luce dall’andamento serpentino, che possiamo scorgere sia nelle vesti dell’uomo, sia nella resa dell’incarnato, in particolare nelle mani percorse dalle vene suggerite attraverso pennellate filiformi e nel volto dell’uomo che lascia intravedere i segni dell’età e del suo lavoro.

 

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