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Scostando le pesanti tende scure ci si ritrova sommersi nel colore, all’interno di una stanza di cui non si vedono le pareti.
Mentre le Valchirie di Wagner risuonano, impetuose nella loro cavalcata, tutto attorno cambia.
I corpi nudi delle Bisce d’acqua nuotano da destra a sinistra, e ci lasciamo catturate dalle linee sinuose della pelle, e da quei fiori che paiono murrine di vetro, sistemati ad adornare le chiome rosse.
Le opere di Klimt si susseguono ritmicamente sovrastandoci, cullandoci tra le fronde dell’Albero della vita, ogni ricciolo, è un movimento in divenire. Ogni opera è una melodia di Mozart, Wagner, Beethoven.

Gustav Klimt, Bisce d’acqua II, olio su tela, 1907, collezione privata

Di ciascun quadro vediamo ingranditi i particolari, così gli occhi di Johanna Staude sono ancora più vitrei, il vestito del Ritratto di Emilie Floge è ancora più blu e si mostra come una costellazione di perle e ricami.
L’oro che investe Giuditta, imperiosa e trionfalmente velata di viola, colma ogni angolo.

Gustav Klimt, Ritratto di Emilie Flöge, olio su tela, 1902, Historisches Museum der Stadt Wien, Vienna

Le installazioni multimediali, come “Klimt Experience” -allestita al MUDEC fino al 7 Gennaio-  rappresentano un modo diverso di vedere l’arte.
Innovativo per quella che è l’idea moderna di mostra: un susseguirsi di quadri, statue, oggetti. Spesso troppi e troppo vicini, di quelli di cui ci si dimentica pochi passi dopo: l’occhio, nella moltitudine, fa fatica a focalizzare l’attenzione su un solo soggetto e come risultato non ci si ricorda di quello che si è visto, non nel dettaglio e non per molto.
I musei finiscono per essere contenitori, ideati per mostrare la ricchezza e la vastità delle collezioni. È raro trovare percorsi museali che accostino autori o temi, che mostrino poche opere ma che le mostrino nel dettaglio, rendendo realmente unico quello che possiedono.

Essere letteralmente pervasi dall’arte è un’altra cosa.
Le immagini rimangono più impresse e poco importa alla fine, se di un quadro non si sanno il titolo, la datazione, i materiali.

I Gonzaga vollero che Mantegna trasportasse la loro corte in una stanza.
Era un giorno di festa, quello in cui Francesco Gonzaga veniva eletto cardinale, ed i cortigiani e le cortigiane e la città tutta erano accorsi ad assistere, stipati tra le architetture del loggiato mantovano, osservavano curiosi.

Andrea Mantegna, Camera degli sposi, affresco, 1465 – 1474, Castello di San Giorgio, Mantova

Mantegna sfonda le pareti della Camera Picta, crea l’illusione di trovarsi all’esterno, spettatori tra gli spettatori.
Non è forse lo stesso principio? Attorniarsi di sguardi fino a perdere di vista i confini del luogo in cui ci si trova.
Quelle tante e famose immense battaglie, nodi di corpi intrecciati, cavalli, spade, scudi, bandiere spezzate, non si stagliano forse su tutta la parete della sala solo per farci sentire parte di un momento storico? Per darci l’opportunità di ricordare meglio un gesto e una qualche sensazione, di potenza, di trionfo, di forza. Anche Picasso volle fare lo stesso con Guernica, usando la sua poetica per farci vergognare, voleva che si vedessero i dettagli dello sgomento che la guerra lascia.
Davanti ad opere così, che se potessero ci attornierebbero in ogni lato, non giriamo lo sguardo altrove, siamo immersi in esse.

Monet è forse un precursore di questa nuova tipologia espositiva.
Cerca di creare una sensazione con le sue opere; dipingeva tenendo il pennello per la punta, come un fioretto che punzecchia la tela di colori ad olio.
Dipinge i lilla, i celesti, i bianchi, i verdi della natura realizzando Nymphéas, un nucleo così compatto e unico di opere che non poteva essere disperso. I quattro metri delle opere decorano, costituiscono le pareti del Musée de l’Orangerie. Sono ovunque e sono quello che Proust definisce un “delizioso abbozzo di vita” che lascia col fiato sospeso.

Claude Monet, Nymphéas, olio su tela, 1920 – 1926, Musée de l’Orangerie, Parigi

 

L’arte, io credo, è un’esperienza.
Un’esperienza che scatena un ricordo, stimola i sensi fino a far scaturire un’emozione.
L’arte fa il suo dovere quando rimane impresso un volto, un colore, una forma e a distanza di tempo, questi sono ancora lì, nitidi nella memoria di chi è stato catturato, avvolto dall’opera.

 

Sofia Pettorelli
Laureatasi da poco in Gestione dei Beni Culturali,
lavora attualmente in un ufficio stampa.
La passione per la scrittura, il racconto e l’arte
la portano alla collaborazione con Arc.