Carrello

Nessun prodotto nel carrello.

È bianca, candida, impalpabile, dal colore tondo ed etereo.
È verde acqua, verde smeraldo, uno specchio d’acqua cristallina ticchiolato di sfumature.
Un oggetto semplice nella sua forma lineare e precisa, complesso nel suo materiale e nel suo significato.
Si ha l’impressione che sia una lamina sottile e delicata, che si incrinerebbe se un movimento troppo deciso la colpisse, invece è impenetrabile e marmorea.
Sembra zucchero solido, scalfito ed intagliato con maestria e precisione senza il minimo sforzo, invece la sua lavorazione è complessa e minuziosa.
È il (), la forma più antica di oggetti di giada.
Rappresenta il sole nel suo foro centrale ed il cielo che lo circonda, è l’oggetto più classico di tutta la glittica cinese, immutabile ed immutato nel tempo. Con ghirigori appena accennati o levigato e liscio, freddo al solo pensiero di toccarlo.

 Disco Bì (壁) in giada bianca scolpita, Cina, Dinastia Qing, XIX secolo

Sulla superficie della pietra si cospargeva, secondo la tradizione, grasso di rospo e polvere di granati, frizionando con delle punte, con continuità e decisione, si ottenevano solchi o fori.
Un materiale miracoloso, magico, che preserva la salute e la fortuna di chi lo possiede, perché riducendolo in una polvere sottile, in tempo remoti e fiabeschi, si otteneva l’Elisir di vita eterna.
Immortalità, rospi e una fiaba che la associa ad un’eclissi lunare e ad una ragazza.

Ch’ang Ho era la giovane e bella sposa del più valente arciere dell’imperatore K’un, era chiamata anche “crescente”, Hêng, in onore della luna.
Colta da insonnia si ritrovò una notte ad ammirare solitaria la Luna, quando ebbe inizio un’eclissi, spaventata che le tenebre soffocassero il satellite bianco, prese l’arco del marito e scoccò una freccia contro l’ombra assalitrice. La Luna, per ringraziarla la attrasse verso di sé e quando la giovane le fu vicino, la trasformò in rospo, e sotto le sembianze di questo animale visse in uno splendido palazzo in compagnia della Lepre di Giada, che macinava minuziosamente ed incessantemente la gemma preziosa per farne l’Elisir di vita immortale.

La precisione e la pazienza con cui questi oggetti meravigliosi erano realizzati, era tanta che si riteneva che fossero opera di spiriti laboriosi. Marco Polo fu il primo a descrivere all’Occidente la bellezza di questi ninnoli di pietra durissima follemente amata dal Gran Khan.
La levigatezza, la durezza e la traslucidità dell’oro della Cina era, secondo Confucio, specchio dell’impermeabilità alla corruzione, fermezza di opinioni e trasparenza di spirito che sarebbero state proprie di chiunque ne avesse posseduto un pezzetto. Ed è così che la giada diventa protagonista indiscussa di pettini, fibbie, amuleti, sigilli, oggetti votivi, gioielli, draghi dalle code attorcigliate e cicale che friniscono dalla dura pietra.

                                 Coppia di schermi da tavolo in giada nefrite con decoro di elefante e                                                                       pruni, Cina, Dinastia Qing, regno di Qianlong (1736-1795).

Per i sei secoli della dinastia Qing, l’arte cinese dell’intaglio e della scultura della gemma verde accresce ed arriva ai massimi livelli. L’imperatore Qian Long venera la purezza della pietra che considera più preziosa dell’oro, ne ama l’armonia e la semplicità.
Offuscata dalla fama di diamanti, rubini, zaffiri e topazi, la giada venne dimenticata dal mondo occidentale. Rimase a lungo confinata in luoghi remoti e dal fascino antico della tradizione, finchè, alle soglie del XX secolo, un orologiaio e gioielliere francese non se ne innamorò.
Louis Cartier rispetta l’autenticità della giada, gioca con la sua materia, con il suo colore, esaltandone l’unicità e raddoppiandone il fascino e la magia.

Collana, 27 sfere di giadeite imperiale di diametro tra 15,4 e 19,2 mm,
chiusura platino, oro, diamanti, rubini cabochon suiffés.
Cartier Paris, ordinata nel 1934.

Il Re dei gioielli” ebbe l’intuizione di incorporare oggetti dell’arte tradizionale cinese con la moda europea del tempo, esaltando toni, forme, sinuosità del tutto nuove.
Ventisette sfere perfette di giada smeraldina, che hanno la freschezza della menta e la semplicità della rugiada.
Un drago minaccioso ed un paesaggio appena accennato, nascosto da una nebbia di giada bianca.

 

La sua durezza ne rendeva estremamente ardua la lavorazione, la sua incorruttibilità e quella soave lucentezza oleosa che rammentava, secondo i suoi colori, le acque profonde di un lago, la nebulosità di una vetta lontana, esercitavano un fascino eccezionale.

Sofia Pettorelli
Laureatasi da poco in Gestione dei Beni Culturali,
lavora attualmente in ufficio stampa.
La passione per la scrittura, il racconto e l’arte
la portano alla collaborazione con Arc.