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Epoca

XVII secolo

Misure

cm 38 x 28

Descrizione

Antonio Domenico Beverense (?, 1624/26 – Vicenza, 1694)

Coppia di ritratti femminili

(2) Olio su tela ovale, cm 38 x 28

Con cornice, cm 48 x 38

 

“Ha un disegno preciso, forme non comunali, bella composizione. Pittore diligente e degno che si conosca; tien qualche cosa del Guercino”: così Luigi Lanzi faceva cenno, nel suo rapido ma lusinghiero profilo, alle qualità dell’arte di Antonio Domenico Beverense (?, 1624 o 1626 – Vicenza, 1694), notando, a proposito di un Matrimonio della Vergine nella Scuola degli Zoppi, oggi perduto, una sottile influenza della scuola bolognese. La figura dell’artista è stata rivalutata in studi recenti, in particolare da Ugo Ruggeri, che ha rintracciato la sua produzione profana, precedentemente oscurata da attribuzioni errate, spesso ai più noti Pietro e Marco Liberi. Sebbene superficialmente legato alla lezione liberesca, la formazione di Beverense fu eclettica.  Le sue tele veneziane più importanti, la Presentazione della Vergine al Tempio e l’Assunzione della Vergine (San Moisè), datate 1665, ne collocano l’attività documentata in un momento di mutamento della pittura veneziana, preannunciando l’abbandono del gusto “tenebroso”. Il suo stile fu influenzato dalla “corrente decorativa del Fumiani, del Lefevre e dello Chéron” e mostra una tendenza al drammatismo luministico e ricordi tintoretteschi. Al 1670 risale inoltre un piccolo Ritratto del curato Giambattista Vinanti, parroco di San Pantalon, un’opera ritenuta perduta ma tuttora in loco nella sagrestia della chiesa. Beverense fu particolarmente apprezzato dalla committenza privata veneziana per i soggetti profani e allegorici, spesso connotati, anche in modo esplicito, in senso erotico.  A lui vengono ricondotte diverse opere a carattere mitologico, come Venere e Adone (Gemäldegalerie, Dresda), La Toeletta di Venere (Collezione Banca Intesa) o ancora l’Allegoria del Tempo che fugge (Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo): in queste tele, egli manifesta la sua propensione per le composizioni accademiche, spesso con figure di spalle o costrette a torsioni, ma con un’attenzione “appuntita e accurata” nella definizione dei contorni e nella resa dell’incarnato. È in questo filone che potrebbero inserirsi i due Ritratti femminili ovali qui presentati, caratterizzati da specifici tratti fisionomici, come gli occhi grandi tratteggiati grossolanamente, le espressioni contenute e riservate, il naso appuntito, le acconciature curate e la tipica fossetta sul mento che caratterizza tanti soggetti femminili del corpus pittorico del pittore veneto. L’ultima parte della sua carriera, prima della morte avvenuta a Vicenza nel 1694, è caratterizzata da una produzione leggermente diversa nell’ambito profano, con figure di formato più ridotto, spesso sparse in paesaggi vasti e a volte minacciosi. In questa fase, il suo stile si avvicinò alla coeva produzione di Giulio Carpioni. Esempi di questo contatto si riscontrano in opere come La morte di Leandro e Diana e Atteone, conservate al Musée des Beaux-Arts di Caen. Beverense raggiunse in questo periodo una nuova ricercatezza formale con uno schiarimento delle tinte, sposando la “politezza minerale” dell’arte carpionesca. Il suo gusto in questi anni Ottante e Novanta del Seicento, mostrava anche una notevole affinità con il pittore romano Girolamo Pellegrini, nell’ottica di un recupero dello stile di Veronese. Il suo particolare classicismo epidermico contribuì a uno stile che, per certi versi, è in singolare anticipo su certo “barocchetto” accademico di fine secolo, fungendo da trait-d’union rispetto al barocco conclamato di Pietro Liberi e precedendo artisti come Gregorio Lazzarini e Antonio Bellucci

 

 

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