XVII secolo
cm 96 x 74
Antonio Travi detto il Sestri (Sestri Ponente, 1608 – Genova, 1665)
Paesaggio con rovine, contadini e pastori
Olio su tela, cm 96 x 74
Con cornice genovese antica del XVII secolo, cm 110 x 86
Antonio Travi nacque a Sestri Ponente (allora borgo autonomo, oggi quartiere di Genova) nel 1608, mentre morì, secondo i documenti d’archivio, intorno al 1665, all’età di circa cinquantasette anni. Travi proveniva da una famiglia di condizioni modeste, acquisendo ben presto l’appellativo de “Il Sestri” per il suo luogo di nascita, anche se talvolta fu chiamato “Il Sordo di Sestri” a causa della sua sordità.
Iniziò la sua carriera artistica nella bottega di Bernardo Strozzi (1581 – 1644), considerato uno dei più importanti e prolifici esponenti della pittura barocca italiana, dove, secondo le fonti, fu avviato inizialmente come macinatore di colori (intorno al 1623), prima che il maestro ne riconoscesse il talento accogliendolo come discepolo. Questa frequentazione fu fondamentale: nel 1625 Travi apparve, infatti, in qualità di testimone, in un documento d’archivio legato ad una vertenza che vedeva coinvolto proprio il maestro; inoltre, il rapporto tra i due si mantenne saldo nel tempo, come dimostra la presenza di “due paesi del signor Antonio da Sestri” nell’inventario dei beni di Strozzi a Venezia, redatto nel 1644. Sebbene le prime opere mostrino l’influenza del linguaggio pittorico del maestro ligure (come ad esempio l’Adorazione dei pastori, oggi conservata presso Palazzo Bianco a Genova), la sua formazione cruciale nel genere che lo rese celebre, il paesaggio rustico e campestre, avvenne presso il pittore fiammingo Gottfried Wals (1595 – 1638), attivo a Genova in quegli anni. Da Wals, Travi assimilò l’attenzione per la prospettiva aerea e per la veduta ampia, tipiche della pittura nordica, sebbene le sue composizioni mostrino una monumentalità ed una densità materica estranee alla leggerezza del maestro fiammingo. La sua lezione gli permise di superare il ruolo di mero riproduttore di fondali per figure e di dedicarsi interamente al paesaggio come soggetto autonomo. Le sue tele, spesso contraddistinte da un profondo senso di nostalgia, ritraevano frequentemente rovine architettoniche inserite in contesti naturali, conferendo un carattere pittoresco che anticipava, di fatto, quella sensibilità propria del Settecento. La componente umana, sebbene accessoria rispetto al paesaggio, risultava essenziale: Travi popolava le sue scene con figure umili di pastori, viandanti, mendicanti e popolani, colti nell’esercizio delle loro attività quotidiane, attraverso quel naturalismo di impronta caravaggesca ereditato dall’ambiente ligure. Da un punto di vista esecutivo impiegava una stesura pittorica corposa e robusta, in grado di conferire tridimensionalità e peso agli elementi raffigurati, in netto contrasto con la pittura più aerea e sfumata dei paesisti fiamminghi. L’uso della luce era mirato ad evidenziare forti contrasti, spesso con cieli carichi ed un’atmosfera lattiginosa, che accentuava il senso di solitudine e la forza ineluttabile della natura rispetto all’uomo.
Il dipinto in esame, inserito all’interno di una raffinata cornice genovese antica del XVII secolo decorata con delicati motivi floreali a pennello, si inserisce all’interno della produzione paesaggistica più matura di Travi, illustrando uno dei suoi soggetti prediletti, una veduta campestre dominata dalle rovine di una chiesa o convento. Figure di pastori a cavallo e armenti animano la scena, inserendosi nel contesto rurale con una resa che combina il naturalismo genovese con la struttura compositiva appresa da Gottfried Wals. L’atmosfera è resa intensa dalla luce fredda drammatica e dalla materia pittorica densa, elementi distintivi della sua arte.
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