XVII secolo
cm 66x91
Domenico Levo (attivo nella seconda metà del XVII secolo)
Natura morta con fiori e frutta
Olio su tela, cm 66×91
Con cornice, cm 77×102
La natura morta esaminata è da riferirsi con certezza alla mano di un pittore attivo nella bottega veronese di Felice Fortunato Biggi (1650 – 1700 circa). Soprannominato de’ Fiori per i suoi eleganti bouquet fioriti, connotati da una notevole armonia compositiva, il pittore di origini parmensi Felice Fortunato Biggi è considerato uno dei migliori fioranti attivi nel nord Italia durante la seconda metà del XVII secolo. Lasciò ben presto la città natale per dirigersi a Verona, dove è registrata la sua presenza a partire dal 1680, dopo una probabile formazione a Roma nella bottega di Mario Nuzzi de’ Fiori, attestata da alcuni dipinti che ne mostrano la forte influenza. Le sue opere sono contraddistinte da un cromatismo acceso, in cui prevalgono i rossi, i bianchi e gli azzurri delle diverse specie botaniche, raffigurate con naturalismo e con una materia pittorica sciolta e spumosa. Come nelle opere del maestro, anche nelle nature morte di uno dei suoi allievi maggiormente dotati, Domenico Levo, si nota una disposizione degli elementi floreali libera, pur rispettando la forma chiusa del bouquet tradizionale.
È proprio a Domenico Levo che dovrebbe essere ascritto il nostro dipinto. Questa natura morta con fiori e frutta presenta una composizione ricca e lussureggiante, che presenta chiari retaggi all’attività pittorica del Biggi. Al centro della scena, un’imponente anfora, probabilmente in terracotta o bronzo, straripa di un opulento bouquet di fiori. Si distinguono rose rosse e rosa, fiori azzurri simili a pervinca o nontiscordardimé, e una varietà di altre fioriture nelle tonalità del bianco e del rosso scuro, che creano un forte contrasto con il fondo scuro reso a monocromo. La pennellata sinuosa e voluttuosa suggerisce la texture e la delicatezza dei petali. Sulla sinistra, un cesto di vimini rovesciato lascia cadere una generosa cascata di frutti. Uva, sia chiara che scura, si mescola a pesche o mele di diverse sfumature di rosso e arancione, e a ciliegie o altri piccoli frutti rotondi. I frutti appaiono maturi e succosi, con una resa quasi tattile della loro superficie che denota l’assoluta perizia tecnica dell’artista. L’intera composizione è immersa in un’atmosfera scura e drammatica, tipica della pittura di natura morta di quel periodo. La luce, proveniente da sinistra, illumina i frutti e i fiori in modo da farli risaltare contro il fondo omogeneo e profondo, creando un effetto chiaroscurale che aggiunge profondità e senso di ricchezza. La tavolozza è dominata da toni terrosi e scuri, con accenti vivaci dati dai colori dei fiori e dei frutti. L’opera riflette l’interesse dell’epoca per l’opulenza, la vanitas, ovvero la transitorietà della bellezza e della vita simboleggiata dai fiori recisi e dalla frutta matura, e la celebrazione della natura abbondante.

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