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Descrizione

Giovanni Ghisolfi (Milano, 1623 – 1683)

Capriccio con Resurrezione di Tabita

Olio su tela, cm 50 x 74

 

 

 

 

L’opera in esame raffigura un episodio biblico entro uno sfondo di rovine architettoniche classiche. Più precisamente viene narrato il secondo miracolo di Pietro.  A Giaffa viveva una sarta di nome Tabita conosciuta per la sua bontà e per le sue opere caritatevoli. A un certo punto, Tabita si ammalò e morì: gli altri discepoli, saputo che Pietro si trovava nella vicina città di Lidda, lo mandarono a chiamare. Giunto presso la casa di Tabita, Pietro incontrò delle altre vedove in lacrime, che gli mostrarono gli abiti che la donna usava far loro. L’apostolo si mise a pregare, in solitudine, nella stanza dov’era stata lasciata Tabita, e le disse “Tabita, alzati!”: quando ebbe detto queste parole, la donna resuscitò. 

La sequenza di arcate fiancheggiata da quel che rimane di un tempio ionico, così come i rocchi e le basi di colonne, fra cui si destreggiano le figure ricordano soluzioni compositive tipiche di Giovanni Ghisolfi. Tali elementi si ritrovano infatti in scena classica con rovine a Dresda, gemaldegalerie, o la coppia Marina con rovine e Rovine sulla costa di Collezione privata o ancora Didone trova il teschio di cavallo indicatole da Giunone nel punto in cui fondare Cartagine presso la Galleria Sabauda di Torino. In Apparizione di Mercurio ad Alessandro Magno ad Hannover (Niedersachsisches Landesmuseum) si nota invece l’impalcatura per la ricostruzione degli edifici, espediente impiegato dal Ghisolfi anche in altre due tele di analogo soggetto ma di ubicazione sconosciuta. Giovanni Ghisolfi fu l’antesignano di un genere pittorico che solo nel XVIII secolo e con Giovanni Paolo Pannini conseguì una straordinaria fortuna illustrativa. Ghisolfi nasce a Milano nel 1623, figlio di Giuseppe, architetto piacentino attivo nel capoluogo lombardo nel XVII secolo. il pittore si formò in ambito familiare e la prima notizia certa sulla sua attività si ha quando, nel 1649, è citato come partecipante alla realizzazione degli allestimenti di archi trionfali e decorazioni pittoriche varie per l’accoglienza all’Arciduchessa Marianna d’Austria.  Trasferitosi a Roma intorno al 1650 insieme ad Antonio Busca, verosimilmente prese parte ai cantieri cortoneschi e iniziò una interessante collaborazione con Salvator Rosa, per il quale dipinse paesaggi e vedute architettoniche. Da questo sodalizio e dall’osservazione di uno dei pioniere del genere, il Codazzi, il milanese apprende il giusto modo di inserire la presenza umana entro la cornice architettonica: le sue figure appaiono infatti eseguite con scioltezza, spesso distribuite in primo piano, soprattutto nella sua prima maturità. Nella città eterna si dedicò certamente allo studio dell’architettura antica e al disegno di frammenti architettonici: tale propensione illustrativa e archeologica rivela presto un’intima vena classicista, contrassegnata da eleganti equilibri compositivi, rintracciabile anche nel presente. Dal 1659 lo ritroviamo in Lombardia dove si cimenta nella decorazione a tema religioso nella cappella dedicata a San Benedetto della Certosa di Pavia e nella cappella del Sacro Monte di Varese dedicata alla Presentazione al tempio.  Divenuto pittore di fama lo ritroviamo anche a decorare alcuni palazzi della nobiltà milanese, tra cui palazzo Omodei a Cusano Milanino e palazzo Borromeo-Arese a Cesano Maderno e in palazzo Litta-Modignani a Varese. Lavora anche a Vicenza e Varese dove, nel 1675, è chiamato a eseguire la decorazione della volta e del presbiterio e del coro di san Vittore con La gloria di san Vittore. Morì a Milano nel 1683 e fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni in Conca. Giovanni Ghisolfi, oltre che pittore di grandi composizioni a sfondo sacro, è oggi conosciuto anche come paesaggista e realizzatore di capricci: con capricci si intende quando, in pittura vengono combinati assieme, in modo spesso stravagante, elementi quali rovine, edifici ed elementi architettonici vari.  Da questi suoi dipinti emerge un senso di classicismo, reso attraverso composizioni lineari, dai colori chiari e luce diffusa, e una solida impostazione architettonica che fanno di Ghisolfi un anticipatore del vedutismo settecentesco. L’opera del Ghisolfi sarà di fatto un riferimento importante per il pittore Giovanni Paolo Pannini che nel 1744 riprenderà nel suo quadro raffigurante le “Rovine con la parabola del pesce” conservato nel Nelson-Atkins Museum di Kansas City un’opera di Ghisolfi del medesimo soggetto conservata nella collezione Almagià.

 

 

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