'700
cm 47 x 36,5
Girolamo Maria Pesci (Roma, 1679 – 1759)
Il giudizio di Paride
1705-1710 circa
Olio su tela, cm 47 x 36,5
Girolamo Maria Pesci (Roma, 1679 – 1759), figura contraddistintasi per la straordinaria capacità di conciliare il rigore classicista con la grazia e la leggerezza del nascente Rococò, lasciò un’impronta significativa nel panorama artistico del Settecento laziale. Nato a Roma, Pesci mosse i primi passi entro la bottega del celeberrimo Carlo Maratta, da cui apprese i solidi principi del disegno e una profonda conoscenza dell’arte classica. Tuttavia, la sua sensibilità artistica lo portò ben presto a distaccarsi dal puro classicismo marattiano, subendo il fascino dello stile di Francesco Trevisani. Da Trevisani, Pesci acquisì quella “leggerezza, delicatezza espressiva e spiccato pittoricismo” che avrebbe caratterizzato gran parte della sua produzione. Questo connubio tra la fermezza del disegno marattiano e la morbidezza coloristica trevisanesca gli permise di sviluppare un linguaggio personale, elegante e raffinato, che raccolse molti consensi nella Roma del XVIII secolo. La sua attività fu prevalentemente incentrata su commissioni di carattere religioso e privato. Eseguì numerose pale d’altare per chiese in varie località, tra cui Roma, Filettino, Zagarolo, Torino e Bassano. Tra le sue opere più significative si ricordano l’Immacolata Concezione con San Agostino e San Giovanni Evangelista per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Zagarolo, e diverse opere inviate anche all’estero, come una Madonna per Oxford e un Bagno di Callisto per Wilton in Inghilterra. Oltre alle opere di carattere sacro, Pesci si dedicò anche a soggetti mitologici e allegorici, spesso destinati a collezioni private, tra cui ricordiamo, tra gli altri una Diana e Atteone firmata e datata 1738. In questo frangente, il suo stile si fece ancora più intimo e decorativo, arricchendosi di dettagli paesaggistici, fiori e ghirlande che conferivano alle tele un’atmosfera gradevole e ricercata. Nel 1716, Girolamo Pesci fu accolto tra i membri dei Virtuosi al Pantheon, un prestigioso riconoscimento che testimonia la sua crescente fama e l’apprezzamento per le sue doti artistiche. Continuò a lavorare assiduamente per committenti illustri, tra cui la famiglia Pallavicini, per la quale realizzò tre ovali con soggetti sacri per la chiesa di Santa Balbina a Roma, e la potente famiglia Rospigliosi. Girolamo Pesci morì a Roma nel 1759, lasciando un’eredità artistica che ben rappresenta la transizione tra il Barocco e il Rococò, capace di unire la solennità compositiva con una sensibilità più ariosa e una palette cromatica più luminosa. Le sue opere sono oggi conservate in musei e collezioni private, testimoniando la sua abilità nel creare dipinti di grande bellezza e impatto emotivo.
La tela qui presentata in via inedita raffigura il noto episodio mitologico del Giudizio di Paride: il figlio del re troiano Priamo è colto mentre cede l’ambito pomo d’oro a Venere, dea dell’amore e della fecondità, incoronandola come la dea più bella dell’Olimpo, mentre Minerva e Giunone si allontanano scontente ed amareggiate per non essere state scelte a loro volta. Le figure sono disposte a fregio lungo il formato orizzontale dell’opera, dislocate nello spazio con una certa disinvoltura, contraddistinte da anatomie robuste e pingui, ampi panni di consistenza vellutata. La tavolozza è rischiarata, l’esecuzione sorvegliata e accorta. Precisi confronti con opere acclarate di Girolamo Pesci permettono di riferirgli la nostra opera: ponendola accanto al soffitto per Sant’Onofrio al Gianicolo a Roma e al Battesimo di Cristo già Wannenes (26 maggio 2015, lotto n. 16, olio su tela, cm 74×61), ricorrono le medesime fisionomie – si accostino Venere e l’allegoria della Fede, Minerva con san Giovanni Battista – le anatomie pingui e i ricchi panni dalle pieghe consistenti, di un certo rilievo plastico. Per i richiami al côté marattesco, ritengo il nostro Giudizio di Paride un lavoro precoce del percorso di Girolamo Pesci, databile intorno al 1705-1710.

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