XIX secolo, India occidentale (Deccan/Maharashtra)
cm 21,5
Bronzo devozionale fuso a ‘cire perdue’ con aureola ad arco (prabhāvali) sormontata da kīrtimukha e piccolo cappuccio di nāga; la Dea campeggia in assetto di battaglia, a otto braccia (aṣṭa-bhuja), con il ginocchio sinistro flesso e il piede destro saldo sul basamento. Il lungo śūla attraversa in diagonale la scena e trafigge il demone che emerge in forma umana dal collo del bufalo: la testa recisa dell’animale è ben visibile, poggiata sul plinto frontale, mentre il corpo taurino giace sotto la gamba della Divinità. Altri attributi — tra cui mazze/loto, cappio e piccolo scudo a disco, con serpenti modellati sul piede del basamento e avvolti alla spalliera — completano l’iconografia del mito; tracce di polvere rossa rituale (kumkum) permangono in più punti, insieme a lucidature d’uso sui rilievi, indizio di lunga frequentazione votiva. La base a più ordini reca decorazioni punzonate e bordi a cordoncino; la prabhāvali è un elemento separato, bloccato con perni, secondo pratica tipica delle officine devozionali dell’India occidentale. L’impianto stilistico — volto ovale con occhi incisi, alto jaṭā-mukuṭa conico, repertorio ornamentale semplificato — consente un’attribuzione al XIX secolo in area deccanese o maharashtriana.
Sotto il profilo religioso il soggetto appartiene pienamente al gusto śivaita: Mahiṣāsuramardinī è l’aspetto guerriero di Durgā/Pārvatī, Śakti di Śiva, la cui energia ristabilisce l’ordine cosmico sconfiggendo Mahiṣa, come narrato nel Devī-Māhātmya. La presenza di kīrtimukha in sommità (emblema apotropaico frequente nei santuari śaiva), dei nāga, e i residui di unzione e polveri sacre alludono al contesto di culto domestico e alle festività della Dea (Navarātri), rendendo questo esemplare particolarmente eloquente anche per storia d’uso.

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