XVII secolo
56 x 76 cm
Adriaen van der Cabel (Rijswijk, 1630 o 1631 – Lione, 16 giugno 1705)
Natura morta con fichi, pesche, uva e fiori
Olio su tela, cm 56,5 x 76
Con cornice, cm 76 x 95
La natura morta qui descritta può esser ricollegata all’ancor numericamente scarso catalogo del pittore Adriaen van der Cabel, almeno per quanto concerne le opere legate a questo specifico genere. Famoso soprattutto per le sue vedute portuali e scene di genere, in alcuni casi egli si distaccò dalla pittura di paesaggio, spostandosi su un terreno meno consono ma in cui dimostrò una sicurezza e una conoscenza del genere derivata anche dalle esperienze maturate nel corso della sua carriera, dove ebbe modo di incontrare artisti e colleghi esperti in questi soggetti, considerando la fortuna che la natura morta ebbe nel nord Europa, e in particolare nei Paesi Bassi, durante il XVIII secolo. L’ordine spaziale con cui sono disposte le due ceste, una ceramica l’altra in vimini, si riscontra nell’accurato decentramento di entrambe, che permette di occupare entrambi i lati della scena oltra a legare visivamente i frutti del primo, i fichi, con quelli del secondo, le pesche. Le linee di forza partono dal piano rialzato dove si trovano i fichi, che appaiono leggermente in penombra rispetto alle pesche, poste insieme al contenitore lungo un ripiano lievemente più basso a cui l’occhio giunge spontaneamente; contornano e racchiudono i due recipienti alcuni fiori, come fiordalisi blu e bianchi, un tulipano giallo, e un papavero affiancato da una peonia bianca, dai colori vivaci e contrastivi che lasciano poi spazio a delle noci e a un ramo di pruno spezzato, che, però, non ha ancora perso i frutti maturi e le foglie. Nelle altre prove di Van der Cabel in questo genere ritroviamo il tratto caratteristico dei cesti di frutta, così come anche l’aggiunta di frutti aperti, come le noci sgusciate e la predilezione per alcuni in particolare come le pesche e susine, prediletti dal pittore. Nato e cresciuto a Rijswijk, vicino all’Aia, Cabel intraprese la sua formazione sotto la guida di Jan van Goyen. La sua carriera lo portò precocemente a Pargi nel 1655 e a Lione (1655-58 ca) dove si stabilì in giovane età e trascorse gran parte della sua vita. Tuttavia, egli visse a Roma fra 1659 e il 1666, dove ebbe modo di aggiornare i suoi studi e le sue conoscenze sull’arte italiana e su quella dei fiamminghi presenti nella città eterna, entrando anche a far parte della loro comunità, nota come quella dei Bentvueghels, tra i quali era conosciuto con il soprannome di Geestigheid, “umorismo”, che sottolineava il suo umorismo gioioso e pungente. Inoltre qui divenne uno dei collaboratori usuali del Codazzi, come dimostra un’architettura conservata agli Uffizi. Cabel non fu l’unico artista nella sua famiglia; suo fratello Engel van der Cabel, anch’egli pittore e membro dei Bentvueghels con il soprannome di “Corydon”, lo accompagnò nei suoi viaggi e si stabilì con lui a Lione, dove divenne “Maître-Garde” della Gilda di San Luca. Questa stretta relazione familiare e professionale sottolinea l’importanza della collaborazione e dello scambio artistico all’interno della loro cerchia.
La grande eredità di van der Cabel si traduce anche attraverso i suoi allievi: fu maestro e padrino del paesaggista lionese Adrien Manglard, che ne acquisì lo stile e la trattazione paesaggistica sia di matrice olandese sia di stampo romano-bolognese, desunta dal van der Cabel durante il suo soggiorno in Italia. Questa trasmissione di conoscenze e stili influenzò profondamente Manglard, che divenne a sua volta uno dei più celebri paesaggisti della sua epoca a Roma. Morì a Lione nel 1705.

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