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Epoca

XVIII secolo

Misure

cm 50 x 65

Descrizione

Scuola romana, XVIII secolo

Sacrificio di Ifigenia

Olio su tela, cm 50 x 65

 

La tela raffigura Il Sacrificio di Ifigenia, tema riportato da numerose fonti, tra cui le tragedie greche Ifigenia in Aulide di Euripide e Agamennone di Eschilo, oltre che ne Le metamorfosi di Ovidio. Il mito narra come i Greci, sotto il comando di Agamennone, si sono riuniti presso la città di Aulide, in Beozia, dalla quale poi salpare alla volta di Troia. La perdurante bonaccia dei venti però impedisce alle navi greche di prendere il mare e la forzata permanenza degli eserciti nella città favorisce il diffondersi di un’epidemia. Il malcontento dilaga e l’autorità di Agamennone vacilla. Il re allora interroga l’indovino Calcante per avere lumi sul da farsi. Questi gli rivela che la difficile situazione è frutto dell’ira di Artemide verso lo stesso Agamennone reo di aver ucciso, durante una caccia, una cerva cara alla dea. Il solo modo per superare l’impasse – prosegue Calcante – è sacrificare ad Artemide Ifigenia, figlia di Agamennone. Il capo dei Greci accetta e fa in modo che la fanciulla, accompagnata dalla madre Clitennestra, raggiunga la Beozia: per indurre madre e figlia al viaggio Agamennone, mentendo, fa sapere loro che Achille ha chiesto Ifigenia in sposa. All’arrivo di Ifigenia in Beozia l’inganno di Agamennone è presto svelato, ma la ragazza accetta ugualmente di immolarsi per consentire all’esercito greco di raggiungere Troia.

La nostra tela, opera di un pittore romano di ambito Neoclassico, è tratta da una incisione e da un dipinto del pittore seicentesco Pietro Testa (Lucca, 1612 – Roma, 1650). Come si evince nell’iscrizione contenuta nella prima tiratura dell’incisione (eliminata poi nelle successive), la stampa con il sacrificio di Ifigenia fu dedicata da Pietro Testa a Mario Albrizzi, ecclesiastico titolare della carica di referendario delle Due Segnature, organo giudiziario dell’amministrazione pontificia. La complessa dedica all’alto prelato contiene un elogio alla purezza del disegno talora corrotta dall’uso inadeguato del colore. Menzionata dal Passeri come una delle prove più alte del Testa in ambito, l’incisione (come si legge sul gradino del basamento dell’altare) fu impressa nella stamperia impiantata da Giovanni Giacomo de Rossi a Roma, in via della Pace. La stampa è firmata con il monogramma usato dall’artista (che sovrappone una P, una T e una L, Petrus Testa Lucensis, cioè lucchese) seguito dalle parole pinx.[it] e sculp.[sit]. La tela che il Testa ne ha derivato invece è ora conservata presso la Galleria Spada a Roma.

 

 

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