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Un grande autore dell’Ottocento – raccontatoci da Phidias Antiques – attraverso un capolavoro ora in mostra a Palazzo Martinengo, Brescia.

L’opera di Gaetano Chierici  ha inizio negli anni 1851-1852 quando frequenta la Scuola di Belle Arti di Reggio Emilia e, di seguito, all’Accademia di Belle Arti di Modena ove mette già in mostra la propria abilità nelle rappresentazioni del corpo umano.

Successivamente si registra la presenza dell’artista presso la Scuola di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Firenze nel periodo dell’innovativa esperienza dei Macchiaioli che si svolge in Toscana e non solo. Nel visivo, composto da zone di colore, tra luce e chiaroscuro, favorisce l’immediatezza del dipinto.
Durante gli anni Sessanta la sua arte si esprime anche attraverso mirabili autoritratti o forti ritratti per indagini espressive e introspettive, ma da qui il tema di Chierici cambia radicalmente e il suo percorso figurativo affronta altri temi: chiostri o paesaggi popolati da figure religiose.

Negli anni intorno al 1865, la sua interpretazione idilliaca della realtà si rivolge a storie di eventi umili descritti con dovizia di dettagli e senso del dramma. Contrariamente alla rottura radicale e profonda con la tradizione accademica, in lui, al contrario, nell’immagine e nello stile con determinate esperienze sei-settecentesche (non solo l’Italia, a quelle Fiandre seicentesche, ma soprattutto gli Olandesi, con i suoi romantici recuperi dei momenti più diversi della storia figurativa) suscitò tanto interesse. Probabilmente l’artista reggiano non era solo affascinato da una sorta di ricerca di mille dettagli e definizioni esatte degli oggetti, ma anche dalla diffusione della luce che leviga le forme e modella gli spazi attraverso sottili transizioni tonali, caratteristica che ne è poi diventata un tratto distintivo.

Inizialmente, la sua “idea idilliaca, sorridente, adorabile della vita dei poveri” lo ha portato a immagini di contenuto descrittivo più generale.
Nel 1869 presenta all’Accademia di Brera l’opera Maschera, esposta insieme a Un guaio serio, un gusto personale che conferisce ai suoi soggetti di un’inconfondibile simpatia affettuosa.
A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, la cifra stilistica dell’artista reggiano si evolve rapidamente in opere che spiegano la quotidianità della famiglia con inconfondibili fantasie figurative. Il Chierici arriva ad una definizione degli schemi tipici della sua pittura d’interni di famiglia, che apparentemente non subisce in seguito mutamenti sostanziali; in realtà si affina con intelligenza descrittiva quasi maniacale, secondo schemi a lungo meditati, sviluppandosi negli anni seguenti sino a toccare i vertici di una pittura che non ha più nulla di convenzionale.

Chierici inizia a dipingere un apparente caos di cose e oggetti, con un rigido ordine mentale, e un intelletto descrittivo freneticamente preoccupato per mille dettagli. Ogni quadro è costituito da una serie di “nature morte”, negli interni di quelle case rustiche con bambini e ragazzi, con luci e ombre, vecchi muri fatiscenti, maestosi camini ancora così familiari ai nostri occhi, sempre simili ma girevoli O ruotati ad altro angoli, interpretati come equilibrati tagli compositivi, inquadrature tra pavimenti in cotto, intagli ovunque, precisi rettangoli e persino geometrie poligonali, la griglia progettuale dei mattoni diventerà il suo acronimo espressivo una delle parole. Infine c’è il colore, gli acuti sono sottilmente calibrati con sensibilità per ravvivare i toni marroni e terrosi dei bassi, il rosa delicato dei poveri vestiti, l’azzurro del grembiule a brillare, il rosso acceso delle gonne, provando un sentimento profondo verso il mondo. L’elegante qualità pittorica si esprime nelle pennellate fresche, nel ritmo delicato e nei colori delle figure; gli oggetti quotidiani poco appariscenti diventano temi poetici e stilistici, vicini all’astrazione nella perfezione in cui sono resi.

Una pittura di sfumata qualità artigianale, palesemente priva di filtri intellettuali, inframmezzata da espressioni di pudore e realtà domestica quotidiana, espressa con integrità descrittiva nella simultaneità di più momenti in ordine cronologico.

Nel decennio successivo gli studi stilistici continuano ad affinarsi fino ad eliminare ogni forma convenzionale di rappresentazione in cui le invenzioni figurative rinnovassero più profondamente soggetto e contesto dell’opera; durante questo periodo realizza i suoi dipinti di maggior qualità, sia per ricchezza creativa che meravigliosamente descrittiva.
L’impronta è il realismo aneddotico che ignora gli aspetti lirici e atmosferici della realtà per avvolgere un’immagine che ha le sue origini come un attento studio della verità ma sembra essere stata saggiamente e felicemente ricercata in studio. Il suo fascino nasce dai singoli dettagli, la sua precisione lenticolare è autonoma e mirata al raggiungimento di un equilibrio generale della forma.

Il famoso Uno spaventoso stato di cose viene inviato dall’artista a Firenze al mercante Spranger, che lo invia sua volta a Londra, all’Esposizione della Royal Academy nel 1881, a dimostrazione del grande successo e della notorietà del nostro artista, ormai di respiro internazionale.
Chierici lavora instancabilmente fino all’inizio del Novecento, quando completa i suoi ultimi lavori, non un opera stanca o ripetitiva come si potrebbe immaginare, ma un felice proseguimento dei lavori degli anni precedenti, esprimendolo fino alla fine in questo sguardo lieto sulla vita.

Attualmente il dipinto è esposto presso la mostra “Donne nell’arte – Da Tiziano a Boldini” presso Palazzo Martinengo di Brescia, dal 22 gennaio al 12 giugno 2022.