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Sprazzi d’oro dalla Genova del XVIII secolo, raccontati da una console eccezionale! 

L’essere costantemente a contatto con la grande bellezza del passato rende il mestiere dell’antiquario qualcosa di simile ad un privilegio e consequenzialmente quasi una franchigia, una esenzione dalle brutture del quotidiano. Spesso assuefatti dai loro stessi oggetti e da anni di gratificante ma anche stressante commercio, gli antiquari devono continuamente affidarsi alla loro innata e spiccata capacità di rinnovamento inseguendo tendenze e mode ballerine che fanno spesso scivolare o al contrario lievitare il valore dell’antiquariato.

Ciò non vale, o quantomeno vale in maniera marginale per tutti quegli oggetti considerati di un livello superiore alla media, per tutti quegli oggetti che denota una forte progettualità ed hanno la forza intrinseca di non cedere ai ricatti del mercato come ad esempio la console presentata in questo articolo.

Di stupefacente e rara qualità esecutiva, questa sfarzosa console è la riprova della maestria raggiunta dagli ebanisti liguri del Settecento nel realizzare arredi da parata commissionati dalle famiglie aristocratiche genovesi più di spicco del momento. Opere simili, delineate da una esuberanza ornamentale senza eguali, contraddistinsero proprio le grandi botteghe che operarono nella prima metà del XVIII secolo vedendo l’affermarsi di importanti scuole sulla penisola, in modo particolare quella romana e quella genovese.

La Genova del XVIII secolo era una città ricca e prospera dove le famiglie patrizie, sempre dedite al commercio e alla finanza, riuscivano a permettersi sfarzosi arredi da parata. E’ proprio in contesti cosi fiorenti come quello genovese che l’attuale distinzione tra antiquariato e alto antiquariato inizia a prendere forma scindendo gli ebanisti (riuniti nella corporazione dei Bancalari) dagli artigiani del legno, questi ultimi dediti alla produzione di mobili di pregio inferiore. Si distingue tra arredi destinati alla domus privata e arredi da parata.

L’ebanisteria genovese di inizio e metà secolo, risente naturalmente dell’egemonia culturale esportata dalla Francia che in quegli anni si conferma il fulcro artistico del mondo intero. Nei mobili di questo periodo iniziano a comparire lastronature in essenze pregiate come il bois de rose, il bois de violette e la noce d’india accanto naturalmente a legni locali come l’ulivo ed il noce e più in linea generale si assiste ad una internazionalizzazione dell’arredo, ad un aggiornamento delle nuove tendenze del rococò europeo.

Si guarda ai Paesi Bassi, alla già citata Francia e all’Inghilterra da cui deriverà il famoso quadrifoglio genovese.

In questo superbo tavolo da muro si evince la forte connotazione scultorea dell’arredo, inteso proprio come un organismo in continua trasformazione, in simbiotico movimento con il contesto, ragion per cui l’ebanista diviene un vero e proprio maestro scultore. L’opulenza ed il vigore plastico del suo disegno superano la funzione dell’arredo divenendo di fatti oggetto da contemplare, mobile da parata, opera d’arte barocca ed in quanto tale volta all’esaltazione del proprietario che attraverso di essa nobilita i propri spazi domestici di rappresentanza ed il proprio rango sociale.

La ridondanza ornamentale non ci esula comunque dal rimarcare l’equilibrio compositivo dell’insieme, sapientemente controllato da un proporzionamento modulare ben chiaro ai grandi artefici di questi arredi senza tempo.

Potremo iniziare insolitamente l’avventura descrittiva di questo tavolo dal ripiano in marmo che corona l’insieme di regale e perentoria dignità, una portentosa lastra in cosiddetto “fior di pesco”, marmo sublime e raro, impiegato per i pezzi più importanti. La sagomatura dello stesso si adatta all’andamento mosso del telaio ligneo ed è finita nel suo perimetro da una bella profilatura a becco di civetta, come si usa dire nel gergo tecnico. La conservazione del marmo originario non è cosa scontata nei grandi mobili d’antiquariato, marmi originari che non di rado sono rimpiazzati da altrettanti marmi non sempre all’altezza; in questo caso il marmo è quello pertinente d’origine avvalorando quindi l’integrità storica del bene oltre che amplificarne il valore economico.

L’impalcatura lignea della console vive del suo trionfante capriccio dorato intriso di curve ora improvvise, ora timide e appena rivelate, tutto commisurato da grande senso del disegno. Lo scultore/ ebanista si dimostra aggiornato al lessico morfologico della metà del ‘700, ricco di citazioni al gusto rocaille imperante in quegli anni e noto come “stile Luigi XV”. Citazioni riscontrabili nelle tipiche conchiglie a pettine, nei cartigli frivoli e svolazzanti, nelle terminazioni ricciolute e più in generale nella facies mossa e leziosa dell’intera console. Le quattro possenti gambe si smaterializzano addolcite da un’ intagliatura del legno sempre leziosa e smancerosa, accordate mediante una bellissima traversa a “X” centrata da grande motivo asimmetrico di gusto squisitamente rococò. Completano il disegno infinito del mobile le quattro desinenze a ricciolo sostenute da basette.

[La console sarà visibile nello stand di Antichità Goglia PADIGLIONE 3 STAND D62 alla prossima edizione del Mercante in Fiera dal 2 al 10 ottobre 2021]

Bibliografia consigliata :
Palacios Alvar Gonzáles, “Il mobile in Liguria”, Palacios Alvar Gonzáles Banca Carige,1996
Giuseppe Morazzoni, “Il mobile genovese”, 1962

Lodovico Caumont Caimi, “L’Ebanisteria Genovese del Settecento”, 1995

Tutte le immagini qui riprodotte appartengono ad Antichità Goglia.

Alessandro Odierna – Guanti Bianchi