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L’arte è sempre stata considerata importante all’interno delle politiche di dominazione dei popoli, motivo di depredazione durante le invasioni e, in caso di vittoria, utilizzata come trofeo di guerra.
Si tratta di fenomeni uniti dalla volontà degli invasori di privare i popoli sottomessi della loro identità culturale, nel tentativo di affermare anche così il proprio potere e supremazia.
In tale contesto s’inserisce la sottrazione di opere d’arte compiuta dal regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale ai danni degli Stati conquistati e, in particolar modo, del popolo ebraico.
Fin dagli anni Trenta, nel processo di affermazione e ascesa al potere del regime totalitario, l’arte rivestì un ruolo considerevole ponendosi come un importante mezzo di propaganda. L’obiettivo era di trasmettere i valori cardine del partito nazista esaltando la Nazione germanica, l’orgoglio del popolo ariano e la figura di Adolf Hitler.
In particolare, le caratteristiche dell’arte accettata, sostenuta, e promossa dal Nazismo risentirono della concezione che lo stesso Hitler aveva dell’arte, plasmata inizialmente dalle esperienze da lui vissute negli anni della sua formazione – come il doppio rifiuto della domanda di accettazione all’Accademia delle Belle Arti di Vienna e la conseguente rinuncia al suo sogno di diventare un pittore professionista – e poi maturata in uno spiccato culto per l’antichità classica, per la tradizione germanica e nel rifiuto dell’arte contemporanea, considerata sintomo di degenerazione.

Furono queste le premesse che diedero origine a quello che, allo scoppio della guerra, divenne un vero e proprio sistema organizzato di confische di opere d’arte costituito da unità operative – la più attiva fu l’ERR guidata da Alfred Rosenberg – autorizzate a razziare all’interno dei territori occupati oltre ai beni custoditi nei musei e biblioteche, anche quelli contenuti in raccolte private di proprietari soprattutto di origine ebraica.
Personaggi principali posti al vertice di questo sistema furono Hitler e il maresciallo Hermann Göring, animati da una compulsiva voracità collezionistica.
Come Hitler anche il suo vice Hermann Göring nutrì da sempre una grande passione artistica, e l’interesse per il collezionismo di opere d’arte crebbe di pari passo con il suo potere.
Gli esordi furono legali, i primi dipinti furono comprati dal maresciallo secondo i prezzi stabiliti dal mercato, oppure li ricevette in regalo in occasione dei suoi compleanni.

Foto scattata il 12 gennaio 1938.
Hitler dona a Göring, in occasione del suo compleanno,
la Bella Falconiera di Hans Makart.

Il desiderio di Göring era di costituire una collezione privata da esporre nel castello di Carinhall, residenza privata situata a nord di Berlino dove il maresciallo riceveva gli ospiti illustri del Terzo Reich, ambasciatori, e capi di stato.


La grande galleria del Castello di Carinhall
dove Göring esponeva le opere della sua collezione.

Dagli anni Trenta il gerarca nazista iniziò a compiere le prime razzie e il numero dei dipinti che entrarono in suo possesso aumentò progressivamente fino ad arrivare alla svolta nel 1939, quando la formazione di squadre operative specializzate nelle confische e i continui saccheggi delle truppe tedesche nei paesi occupati fecero tramutare la sua passione per l’arte in una vera e propria ossessione rapace.
In particolare, con l’invasione della Francia, Parigi divenne il terreno di spoliazione preferito dell’avido collezionista e di Hitler, basti pensare che la metà dei quadri contenuti nella collezione Göring era di provenienza francese.
Nello stesso anno a Parigi fu istituita la sede distaccata dell’ERR, e Göring dovette scendere ad accordi con Alfred Rosenberg, ottenendo il vantaggio di avere la prima scelta sulle opere da confiscare.

Göring (a sinistra) e Walter Andreas Hofer (a destra).

Complici primari di Göring furono i suoi due esperti di fiducia Walter Andreas Hofer e Bruno Lohse, addetti alla selezione dei dipinti, i quali lavoravano in collaborazione con gli antiquari locali che, per convenienza, fornivano loro le opere.

Göring (a sinistra) e Bruno Lohse (a destra).

L’organizzazione incaricata riempiva treni e camion di opere d’arte e il maresciallo comprava famelico tutto quello che incrociava. Tintoretto, Rubens, Monet, Sisley, Goya sono solo alcuni degli innumerevoli pezzi che entrarono a far parte della sua vasta collezione che arrivò a contare oltre 1.376 dipinti, 250 sculture e 168 arazzi, per un valore totale di decine di milioni di marchi.
La maggior parte dei quadri era di autori tedeschi, si contava però anche un consistente numero di dipinti fiamminghi e olandesi del Seicento, oltre che quadri di pittori francesi e italiani.
Una sezione era poi costituita da dipinti di arte contemporanea, prelevati allo scopo di rivenderli o servirsene come moneta di scambio per altre acquisizioni.

Le informazioni sui pezzi della collezione erano puntigliosamente riportate su un catalogo stilato e tenuto aggiornato dai segretari personali di Göring, i quali annotavano nome dell’artista, titolo, dimensioni, provenienza, nome dell’intermediario che aveva fornito l’opera – nella maggior parte dei casi Hofer -, luogo in cui era esposta ed eventuale fotografia del dipinto.
Il manoscritto è oggi conservato negli Archivi diplomatici del Quai d’Orsay di Parigi ed è conosciuto con il nome di Catalogo Göring. Si tratta di un registro di 286 pagine scritto da cinque mani diverse e organizzato seguendo regole ben precise: ogni pagina riporta dieci opere e per ognuna di esse vi sono sette colonne contenenti i relativi dati.

Una pagina interna del Catalogo Göring – fotografia di Sarah Wildman.

Dopo la guerra, il manoscritto fu dimenticato per lungo tempo negli Archivi del Quai d’Orsay ma, grazie all’iniziativa dell’ ex ministro degli Affari esteri Laurent Fabius, a Marzo 2016 il catalogo è stato pubblicato nella sua versione integrale al fine di aiutare la ricerca delle opere ed eventualmente favorirne il recupero da parte dei legittimi proprietari. Il volume, curato da Jean – Marc Dreyfus ed edito da Flammarion, è per ora disponibile solo in lingua francese.

Quelle di Göring e di Hitler furono, per numero di opere raccolte e per il loro valore artistico ed economico, le due più grandi collezioni di opere d’arte del regime nazista. L’insaziabile ambizione di Göring e la sua stretta collaborazione con Hitler avrebbero infatti permesso di mettere in atto uno dei più grandi furti della storia, confiscando oltre cinque milioni di opere d’arte a chiese, musei e collezioni private di oppositori del regime e di ebrei.
Le ragioni che spinsero i due dignitari all’inarrestabile accrescimento delle raccolte sono da ricercare in fattori di carattere storico, sociologico e politico, che determinarono la trasformazione di una passione in una vera e propria ossessione.
Il vero obiettivo di Hitler e di Göring era di riuscire a imporsi sull’Europa e di dimostrare la superiorità della razza ariana su quella ebraica.
 Per fare ciò essi ricorsero a qualsiasi mezzo possibile, utilizzando così non solo le armi e la forza ma arrivando perfino, attraverso l’azione di confisca delle opere d’arte in musei e collezioni private, a privare una Nazione della sua identità culturale e ad annullare la dignità umana di un intero popolo.

Il declino del maresciallo Göring fu parallelo a quello del Terzo Reich. Alla sconfitta della Germania nel 1945, il maresciallo decise di arrendersi e consegnarsi alle forze americane, in attesa di essere processato a Norimberga.
 Durante un interrogatorio, Göring non negò il progetto di formazione della sua collezione privata avvenuta tramite azioni di trafugamenti di opere d’arte, anzi, egli sottolineò la sua profonda passione per l’arte e per la grandiosità, affermando di aver sempre voluto affidare la sua collezione allo Stato germanico, non vedendo nulla di riprovevole nella sua azione.

Davanti al tribunale internazionale di Norimberga, Hermann Göring fu giudicato colpevole per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
 L’accusa comprese anche i trafugamenti di opere e oggetti d’arte compiuti in Europa.

Nel processo di Norimberga Göring fu condannato a morte ma il 15 ottobre 1946, vigilia della sua esecuzione, si suicidò in cella con una capsula di cianuro.

Lorenza Adessi