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Si conclude oggi , su TheARCULT, questa interessante anticipazione sulla ritrattistica cremonese e lombarda nel Cinquecento, proposta in un breve saggio del Prof. Marco Tanzi, pubblicato all’interno catalogo Selezione di Antichi Maestri, Cremona, 2016, pubblicato in occasione dell’omonima mostra.
«i quadri ritornano…» scrive il Prof. Tanzi riferendosi alla ricomparsa improvvisa, nelle sue ricerche e nelle aste, del Sabbioneta. E così fa anche Antonio Campi, il più eclettico della famiglia di pittori cremonesi, di cui il Professore ci fa intravedere un piccolo corpus ritrattistico. Godetevelo.

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– Da approfondire: 1. Francesco Pesenti detto il Sabbioneta

Come accennavo, nel corso di queste ricerche ho riaperto cartelle piene di foto che non guardavo da tanto tempo e mi sono accorto, non senza una certa vertigine, che la prima volta che mi sono occupato dell’argomento risale al 1981, trentacinque anni fa. Non sono mai stato sistematico nemmeno su questi argomenti; ho incollato un pezzo qui e un pezzo là, ho sistemato una data, ne ho sbagliata un’altra; mi sono ricreduto su un’attribuzione e sono stato contento, per un attimo, quando un restauro ha rivelato una firma che confermava un’ipotesi. Da queste cartelle escono immagini legate a momenti diversi della vita: nel frangente stiamo parlando di ritratti, ma ogni foto, ogni dipinto considerato ha avuto una storia, la sua storia, siano essi capolavori o opere di seconda o terza schiera.

18. Francesco Pesenti detto il Sabbioneta, Ritratto di gentiluomo con berretto piumato.
Ubicazione ignota

Quanti anni sono passati da quando ho visto per la prima volta questo imponente Triplice ritratto (fig. 19) su tela? Me lo chiedevo qualche tempo fa senza sapermi dare una risposta precisa, finché mi sono accorto che qualcuno l’aveva pubblicato in un fascicoletto nel 1999, mettendoci il mio testo e la mia firma, senza che io ne sapessi nulla.[1] Così ho realizzato che l’avevo studiato nel 1991 in una casa di Firenze (la data si era persa ma non il ricordo, lucidissimo, dell’esame della tela), ne avevo individuato l’autore, Francesco Pesenti detto il Sabbioneta, il personaggio al centro, Carlo Gonzaga marchese di Gazzuolo, e l’occasione per la quale la tela fu dipinta nel 1540: il matrimonio di Carlo con Emilia Cauzzi Gonzaga.[2] È tornata fuori la sua fotografia, dopo un quarto di secolo, all’inizio di questa primavera: come per una specie di tam-tam, nel giro di pochi giorni mi sono arrivate mail o messaggi WhatsApp per chiedere il mio parere su questo Ritratto di gentiluomo con berretto piumato (fig. 18), dipinto su ardesia, in un’asta francese.[3] Dalla foto il quadro appare sporco ma facilmente comprensibile; carino ma non certo un capolavoro: chissà chi se lo sarà accaparrato, visto che ha spuntato una cifra impegnativa? Soprattutto, se è arrivato a una simile valutazione, sarà stata una vendita combattuta a suon di rilanci: quali idee avranno avuto i contendenti circa il suo autore? Un refrain costante di antiquari e collezionisti, infatti, è qualcosa tipo «io non compro il nome, compro la qualità»: ma in questo caso la qualità è media, non è Salviati o Girolamo da Carpi, ma nemmeno Bernardino Campi o Mazzola Bedoli; non mi spiego quindi un simile rialzo. Ma le valutazioni di uno storico dell’arte, nonostante quel che si dice, molto spesso non coincidono con quelle del mercante e dell’amatore. Sono però convinto che la qualità e le gerarchie debbano essere riconoscibili e riconosciute. Sempre. A questo punto la lavagna sarà stata restaurata, credo con un intervento facile e leggero: come sarà il suo aspetto dopo la pulitura? Più nitido e lustro, senza dubbio, e la pittura mostrerà la sua consistenza materica proprio grazie alla solidità del supporto. Ma la qualità dell’opera e il nome dell’autore non cambieranno, se non nelle speranze del proprietario, forse; sono gli stessi del telone gonzaghesco: il pittore è ancora Francesco Pesenti detto il Sabbioneta, e magari anche l’effigiato è il medesimo Carlo Gonzaga, una decina d’anni dopo, solo un po’ più gonfio e imbolsito non si sa se più per le campagne militari o per gli ozi di paese tra lambrusco mantovano e risotto col puntel.

19. Francesco Pesenti detto il Sabbioneta, Ritratto di gentiluomo con berretto piumato.
Ubicazione ignota

Perché questa lunga chiacchierata? Solo per dire che i quadri ritornano, nella vita, e offrono nuove occasioni di riflessione e di complicità: il Triplice ritratto gonzaghesco del Sabbioneta è riapparso nei miei orizzonti dopo tanti anni e, in un brevissimo lasso di tempo, si è tirato dietro una specie di catena di Sant’Antonio. Un ritrattino, piccino e bruttino, di Isabella Colonna Gonzaga di profilo che ha fatto uno sfracasso di soldi a un’asta Dorotheum di Vienna un paio d’anni fa; un ciclo di affreschi di soggetto profano ancora inedito e frammentario con il mito di Tereo, Procne e Filomela, in un palazzo di Cremona; un documento del 1544 va collegato con l’Incontro di Gioacchino e Anna alla Porta Aurea – tema immacolista – già in San Leonardo a Cremona, ora nelle collezioni del Monte dei Paschi a Siena.[4]

Queste brevi annotazioni vogliono solo significare come funzionano le cose per uno storico dell’arte: i quadri ritornano, le cartelle si gonfiano di foto e di appunti, i puzzle rimasti fermi per decenni prendono forma quando meno te lo aspetti. Tutto qui: poi uno ci ritorna, come succederà con Francesco Pesenti da Sabbioneta.

– Da approfondire: 2. Antonio Campi

Sto approfittando un po’ troppo della pazienza dei lettori, ma voglio raccontare di un quesito che mi ha un po’ assillato a partire dalla mostra dei Campi, nell’estate del 1985: il Ritratto di prelato trentenne della Galleria Spada a Roma (inv. 182; fig. 20), allora esposto con un’attribuzione molto generica alla scuola cremonese della seconda metà del Cinquecento.[5] Com’è possibile che uno dei ritratti più belli dipinti a Cremona alla metà del secolo non abbia goduto dell’adeguata considerazione: Federico Zeri era incline a ritenerlo di Vincenzo Campi, mantenendo tuttavia la cautela dell’anonimato, mentre Roberto Longhi, che era stato il suo suggeritore, vi rilevava «affinità con l’opera di Vincenzo e Antonio Campi».[6]

La questione si è sistemata, finalmente, tra 2015 e 2016, quando mi sono imbattuto, in una collezione privata, in un bellissimo Ritratto di anziano gentiluomo (fig. 21; tela, cm. 92 x 73) della stessa mano, che ho potuto visionare con il dovuto agio, apprezzandone quelle caratteristiche stilistiche che viceversa avevano messo in difficoltà chi se n’era occupato, tanto da non ritrovare una condivisione nemmeno sull’inquadramento geografico.[7] Al netto di queste riflessioni, il dipinto segnala un complesso di elementi a cavallo tra Lombardia ed Emilia combinati con uno sguardo acuto sul mondo nordico che spingono inevitabilmente verso Cremona, dove, intorno o poco dopo la metà del secolo, si colloca questo personaggio di forte tempra colto come appena dopo un attimo di disattenzione, quando sta recuperando il filo dei suoi pensieri.

20. Antonio Campi, Ritratto di prelato trentenne. Roma, Galleria Spada
(su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)

21. Antonio Campi, Ritratto di anziano gentiluomo. Piacenza, collezione privata

Sono convinto che il Prelato Spada e l’austero gentiluomo escano entrambi dal pennello di Antonio Campi: non è un’attribuzione semplice né ovvia, in considerazione del fatto che non si conosce a tutt’oggi alcun ritratto autonomo eseguito da Antonio, mentre tra quelli inseriti nelle opere sacre, si può contare solamente sul donatore nella giovanile Sacra Famiglia, San Girolamo e il committente Girolamo Piperari, datata 1546, una pala modesta e in uno stato di conservazione non ottimale, ora in Sant’Ilario a Cremona.[8]

Le fonti documentano però l’attività ritrattistica di Antonio: si ricorda quello che fece a Danese Filiodoni, podestà di Cremona, senatore e gran cancelliere dello stato di Milano.[9] Ci sono poi i modelli per i ritratti incisi della Cremona fedelissima, dei quali il pittore dice «cavati da un mio disegno dal naturale» o formule simili; e in un caso, l’effigie di Buoso da Dovara, afferma: «cavata da un ritratto del detto Bosio, qual si ritrova nel mio studio».[10] Negli inventari di varie collezioni, infine, sono menzionati ritratti (o autoritratti) riferitigli: basti vedere, tra gli altri, il resoconto di Federico Sacchi.[11] Sono costretto in prima istanza a ribadire che non ho potuto giovarmi di confronti di prima mano con ritratti autonomi, ma ho dovuto lavorare sugli aspetti tecnici ed esecutivi del dipinto e sulla stesura pittorica, che risultano così peculiari da confermare il riferimento ad Antonio. Sto sintetizzando in maniera forse un po’ troppo schematica, ma la promessa – lo ribadisco –, è di tornare per esteso sull’argomento con tutti i confronti che ho già raccolto per illustrare il procedimento che mi ha portato a questo risultato, limitandomi, in questa circostanza, a mostrare un nucleo di dipinti che giudico essere di Antonio Campi.

Sono ritratti vigorosi e sensibili, con un approccio diretto all’effigiato e contrassegnati sì dal vero di natura, ma come ancora infatuati dalle lusinghe della maniera. I referenti stilistici sono da ricercare da un lato nell’eleganza sottile di quell’area lungo la Via Emilia che sfiora Parmigianino e Girolamo da Carpi, e dall’altro in una più concreta attenzione al dato naturale che potrebbe riflettere il momento in cui, a Bergamo, il contatto tra Lorenzo Lotto e Giovanni Battista Moroni fa scattare una sorta di elettrizzante corto circuito espressivo. Non senza, ed è un elemento da tenere sempre in considerazione a Cremona, un occhio attento per tutto ciò che arrivava dalla Fiandre.

22. Antonio Campi, Ritratto di vecchio con in mano una lettera e i guanti. Cleveland, The Cleveland Museum of Art, Holden Collection

Avere avuto sotto gli occhi per tanto tempo il ritratto Spada e quello di Piacenza mi ha spinto a riconsiderare dipinti rimasti finora in una sorta di zona grigia, di anonimato anagrafico, che condividono tuttavia con questi personaggi diverse caratteristiche formali e dovrebbero costituire un piccolo corpus che apre nuove prospettive sulla possibile attività ritrattistica di Antonio, che elenco brevemente. Nell’ottica del rapporto tra Cremona e le Fiandre, un Ritratto di giovane (fig. 23) passato varie volte sul mercato londinese con l’attribuzione al fiammingo Jooris van der Straaten (attivo in Spagna e Portogallo, dove il suo nome viene iberizzato in Jorge de la Rúa) o al brabantino Willem Key è invece, secondo me, opera certa di Antonio. Si tratta di un altro esponente della famiglia Piperari (Puerari) di Cremona, come recita un’iscrizione frammentaria sul retro della tavola, dov’è anche la data 1556.[12] È della partita anche un Ritratto di vecchio con in mano una lettera e i guanti (fig. 22), donato al Cleveland Museum of Art (inv. 1916.794) nel 1916 da Mrs. Liberty E. Holden, con attribuzione alla scuola veneziana del XVI secolo, «very much in the manner of Tintoretto», spostata su Giulio Campi nel 1932 da Bernard Berenson.[13] Così il Ritratto di giovane (fig. 24) già nella collezione del barone Wilhelm von Ofenheim a Vienna, il Ritratto di gentiluomo (fig. 25) del Los Angeles County Museum of Art (inv. Paul Rodman Mabury Collection, 39.12.16), quello della collezione Borromeo all’Isola Bella (fig. 36), quello della Galleria Estense di Modena (inv. 217; fig. 27), un Ritratto di vecchio già nella collezione di Cristoforo Benigno Crespi a Milano e finalmente una donna: il Ritratto di giovane dama della Pinacoteca Nazionale di Bologna (inv. 4).[14]

Anche, e soprattutto, in questo caso ci si tornerà presto…

23. Antonio Campi, Ritratto di giovane gentiluomo della famiglia Piperari, 1556. Ubicazione ignota

24. Antonio Campi, Ritratto di giovane. Ubicazione ignota (Biblioteca Berenson, Fototeca, Villa I Tatti, The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies)

25. Antonio Campi, Ritratto di gentiluomo. Los Angeles, The Los Angeles County Museum of Art

26. Antonio Campi, Ritratto di gentiluomo. Isola Bella, collezione Borromeo

27. Antonio Campi, Ritratto di gentiluomo con berretta nera. Modena, Galleria Estense

Marco Tanzi
Nato a Cremona nel 1956, insegna Storia dell’arte moderna all’Università del Salento. Si occupa prevalentemente della cultura figurativa del Quattrocento e del Cinquecento in Valpadana, sulla quale ha scritto saggi e curato mostre: tra queste «Pedro Fernández da Murcia, lo Pseudo Bramantino» (Castelleone 1997), «Barocco nella Bassa: pittori del Seicento e del Settecento in una terra di confine» (Casalmaggiore 1999), «Disegni cremonesi del Cinquecento» (Firenze, Uffizi, 1999), «I tarocchi dei Bembo» (Milano, Brera, 2013). Tra gli studi monografici ricordiamo Boccaccio Boccaccino (Edizioni del Soncino 1991), I Campi (5 Continents 2004) e Arcigoticissimo Bembo (Officina Libraria 2012).


[1] M. Tanzi, Un ritratto di Carlo Gonzaga fra due personaggi, in Capolavori gonzagheschi da collezioni private, Mantova 1999, pp. 13-25.

[2] L’ho incontrato ancora, in due occasioni: alla prima edizione del Gotha a Parma nel 1994 e tra le nebbie gonzaghesche di Rivarolo Mantovano nel 2008, senza l’intimità della prima volta: si veda P. Bertelli, in I Gonzaga delle nebbie. Storia di una dinastia cadetta nelle terre tra Oglio e Po, catalogo della mostra, a cura di R. Roggeri e L. Ventura, Cinisello Balsamo 2008, pp. 131-133, n. 37. Nel frattempo era passato da un’asta milanese di Finarte il 29 aprile 1998, lotto 220.

[3] Ivoire, Chartres, 9 aprile 2016, lotto 121, come «Ecole de Parme vers 1540», che non è un’indicazione nemmeno troppo sviante; aggiudicato per € 144.000.

[4] Per il ritrattino della madre di Vespasiano Gonzaga si veda il catalogo dell’asta viennese di Dorotheum del 21 aprile 2014, lotto 17, con alcune mie considerazioni (aggiudicato ; la pala già in San Leonardo era a Cremona nel 1985 alla mostra dei Campi: C. Nolli in I Campi cit., p. 153, n. 1.14.1.; per contratto si veda O. Mischiati, Documenti inediti sulla pittura a Cremona nella prima metà del Cinquecento, in «Paragone», 26-27, 1991, pp. 103-104, 132-133.

[5] F. Paliaga, in I Campi cit., p. 211, n. 1.21.2. Era considerato alla stessa stregua di quello della pinacoteca di Cremona (inv. 193) che ho considerato in precedenza tra le possibili opere di Cristoforo Magnani, all’evidenza di altra e più stentata mano.

[6] F. Zeri, La Galleria Spada in Roma. Catalogo dei dipinti, Firenze 1954, p. 68, n. 233, dov’è ricordato il parere di Longhi.

[7] Il ventaglio delle ipotesi prospettato ai proprietari era piuttosto ampio: Bergamo, con Giovanni Battista Moroni o Giovanni Paolo Cavagna; Veneto, vicino a Jacopo Bassano; Emilia, tra Bartolomeo Passarotti e Girolamo da Carpi; per spingersi anche oltre l’Appennino, in ambito toscano. La soluzione più pertinente, seppure cauta, spettava ad Allan Braham, curatore dell’esposizione del 1978 su Moroni alla National Gallery di Londra, il quale aveva pensato a un pittore operante nella zona di Cremona, coevo del bergamasco.

[8] Si veda G. Rodella, in Restituzioni 2006. Tredicesima edizione. Tesori d’arte restaurati, catalogo della mostra, Cornuda (Treviso) 2006, pp. 274-277, n. 49. Vale la pena di ricordare che l’evoluzione del cognome cremonese Piperari sarà Puerari.

[9] A. Lamo, Discorso cit., p. 14.

[10] A. Campo, Cremona fedelissima cit., p. 57; ; D. De Grazia, Le stampe dei Carracci con i disegni, le incisioni, le copie e i dipinti connessi. Catalogo critico, edizione italiana riveduta e aumentata tradotta e curata da A. Boschetto, Bologna 1984, pp. 103-120, nn. 55-94.

[11] F. Sacchi, Notizie pittoriche cremonesi, Cremona 1872, pp. 55, 56, 58.

[12] Si veda Sotheby’s, Londra, 5 luglio 2007, lotto 125; Sotheby’s, Londra, 9 dicembre 2015, lotto 26, con bibliografia specifica.

[13] S. Rubinstein, Catalogue of a Collection of Paintings, etc. presented by Mrs. Liberty E. Holden to the Cleveland Museum of Art, Cleveland 1917, p. 36, n. 39; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. A List of the Principal Artists and their Works with an Index of Places, Oxford 1932, p. 123.

[14] Per questi ultimi si vedano: Ibidem, p. 125; P. Plebani, in Collezione Borromeo. La Galleria dei Quadri dell’Isola Bella, Cinisello Balsamo 2011, pp. 190-191, n. 37 (Pittore lombardo, terzo quarto del XVI secolo); B. Berenson, North Italian Painters of the Renaissance, New York, London 1907, p. 187; A. Venturi, La Galleria Crespi in Milano, Milano 1900, pp. 31-42, come Battista Dossi, spostato su Moroni da W. Suida, Aggiunte all’opera di Giovanni Battista Moroni, in «Emporium», cix, 1949, p. 54, fig. 7, quando si trova nella raccolta viennese del dottor S. M. Singer; A. Ghirardi, in Pinacoteca Nazionale di Bologna. Catalogo generale. 2. Da Raffaello ai Carracci, Venezia 2006, p. 322, n. 212, come Bartolomeo Cesi, ma con scritto, più correttamente, sul telaio: «Antonio Campi fece».